“La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo.
Si può vivere anche in paese di dittatura ed essere libero, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura. L’uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo cuore incorrotto, è libero. L’uomo che lotta per ciò che egli ritiene giusto, è libero. Per contro, si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi; malgrado l’assenza di ogni coercizione violenta, si è schiavi. Questo è il male, non bisogna implorare la propria libertà dagli altri. La libertà bisogna prendersela, ognuno la porzione che può”.
(Ignazio Silone, da “Vino e pane”, 1936)
Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, fu un grande scrittore abruzzese, nonché giornalista, politico, saggista e drammaturgo, annoverato tra gli intellettuali italiani più conosciuti e letti nel mondo. Silone nacque il 1° maggio 1900. Questo post per ricordarlo.
Sotto, gole del Sagittario, L’Aquila, a pochi passi dal luogo natale di Ignazio Silone.
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Il mio conterraneo abruzzese con lo pseudonimo partigiano Ignazio Silone riprende il termine napoletano Cafone che ha radici etimologiche arabe. Cafir in arabo significa infedele, il cafirchio (fune, spago, cintura, corda) era lo strumento di lavoro principale degli infedeli, non musulmani, con cui legavano le brache di tela da carico merci. Con il cafirchio trainavano le carriole di trasporto nel porto, oppure le merci tra i commercianti di città, si chiamavano cafoni ed erano i camalli, per le aree grecofone*vastasi*, dal greco βαστώ = tengo, sono carico, trasporto, tiro, trascino.
E’ un residuo linguistico dell’epoca di predominio arabo in sud Italia, e la zona della Marsica è storicamente legata tramite il passaggio del fiume Liri con il napoletano, come periferia montana della grande città fin dall’antichità.
La stessa parola cafir, cafirchio, cafun, cafone, è molto diffusa nelle coste settentrionali dell’Africa, il Magreb, e da lì trasmesso in tutto il Mediterraneo durante i lunghi secoli di pirateria comandata da Algeri, tramite l’argot marinaresca.
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