A VENEZIA IL PRIMO CAFFÈ

A VENEZIA IL PRIMO CAFFÈ

Il 29 dicembre 1720 apriva a Venezia il primo Caffè d’Italia “FLORIAN”!

Il primo occidentale che abbia fatto menzione al caffé è Gianfranco Morosini, bailo a Costantinopoli, poi diventato il più famoso doge di tutte le epoche, soprannominato il Peloponnesiaco per le sue gesta trionfali nella conquista della Grecia e morto proprio nella città di Nafplio.

In una sua relazione del 1585 egli racconta come i Turchi usassero bere “Un’ acqua negra, bollente quanto possono sofferire, che si cava d’ una semente che chiaman Kahvé, la quale dicono che ha la virtú di far stare l’ uomo svegliato”. Questa bevanda era però conosciuta a Venezia già dalla fine del Medioevo, almeno da quei marinai che frequentavano il porto sul Bosforo e gli altri porti del Levante, e gli studiosi del tempo, che leggevano e conoscevano i documenti della storia e della cultura orientale, sapevano che Ibn S’Ina, più noto col nome di Avicenna, già intorno all’anno 1000, consigliava ai suoi lettori di sorbire il caffè.
Sapevano poi che a La Mecca e a Medina c’erano, già dal XV secolo, le “Case da Caffé, in seguito considerate dalle autorità luoghi di perdizione al punto che furono chiuse nel 1511 con la scusa che “la nera e diabolica bevanda aguzza le facoltà critiche e scioglie la lingua”.
Il passaggio fornito sembra descrivere una bevanda conosciuta come “Kahvé” che è fatta da un seme e si dice abbia la virtù di mantenere sveglia una persona. Sebbene il passaggio non sia esplicitamente chiaro, probabilmente si riferisce al caffè.

Queste case, chiamate “qahveh khaneh” in arabo, erano luoghi di ritrovo e socializzazione molto popolari, frequentati da uomini di ogni ceto sociale. Qui si poteva gustare il caffè, una bevanda ancora relativamente nuova all’epoca, ma che stava rapidamente guadagnando popolarità grazie alle sue proprietà energizzanti e al suo sapore amaro e intenso.

Le “qahveh khaneh” svolgevano un ruolo importante nella vita sociale delle città arabe. Erano luoghi dove le persone si riunivano per discutere di politica, affari, letteratura e filosofia, o semplicemente per rilassarsi e trascorrere del tempo con gli amici.

Tuttavia, è importante sottolineare che queste caffetterie non erano frequentate dalle donne, che all’epoca erano escluse da molti spazi pubblici.

La diffusione del caffè in Arabia e nel resto del mondo è stata un fenomeno complesso con diverse implicazioni sociali, culturali ed economiche. Le “qahveh khaneh” hanno svolto un ruolo importante in questo processo, contribuendo a rendere il caffè una bevanda popolare e apprezzata in tutto il mondo.

Ecco alcuni spunti per approfondire l’argomento:

Il caffè è fatto dai chicchi di caffè, che sono i semi, ed è noto per le sue proprietà stimolanti, dovute principalmente alla caffeina. La prima osservazione sugli effetti eccitanti è fatta dei pastori arabi che osservavano il comportamento allegro delle capre che consumavano i chicchi di questa pianta. Hanno voluto masticare per provare l’effetto di benessere, senso di riposo e ricarica di energia e poi hanno scoperto la modalità di ebollizione per consumarlo senza masticarlo.
Il passaggio suggerisce che Kahvé sia composto da un seme, il che è in linea con la produzione del caffè, dove i chicchi di caffè sono i semi utilizzati per preparare la bevanda. La descrizione secondo cui Kahvé ha la virtù di tenere sveglia una persona è una caratteristica del contenuto di caffeina del caffè, che è uno stimolante naturale.
Il brano allude alla preparazione di questa bevanda mediante bollitura, che corrisponde al processo di preparazione del caffè.
In conclusione, è probabile che il brano si riferisca al caffè, che è ottenuto dai chicchi di caffè ed è noto per i suoi effetti stimolanti dovuti alla caffeina. È una bevanda apprezzata da molti per la sua capacità di mantenere le persone sveglie e vigili.
A Venezia la bacca, torrefatta e ridotta in polvere, viene trattata all’ inizio come un medicinale, ( si acquistava in farmacia) e venduta ad un prezzo altissimo ma già nel 1683 la sua infusione cominciava a piacere molto giacché il Senato ordinava ai Savi alla mercanzia di trarne una rendita maggiore rendendola più accessibile.
Nel 1683 fu aperta una bottega da caffé sotto le Procuratie Nuove denominata “All’arabo” (vendeva solo caffè e non bevanda) e ben presto se ne videro altre nelle varie contrade della città.
Nel XVIII secolo erano quasi tutti caffé i negozi di Piazza San Marco dove oltre al caffè si servivano anche “acque gelate” come orzate e limonate, cioccolata in tazza, rosoli (fatti a Venezia), papine (sorbetti di latte ed altri ingredienti), baicoli, bussolai, bigné e fritole (Marangoni). Per attirare i clienti venivano offerte mandorle confettate, biscottini e una presa di tabacco, il tutto con una spesa di soldi 4, tazzina di caffè compresa (Rorato). Molti di questi caffé non ebbero vita lunga ma, aggiunge sempre il Marangoni, ” Il 29 dicembre 1720 registra una data importante nella cronologia e nella storia di tutti i caffè europei perché apre a Venezia il caffé “Alla Venezia trionfante “, quasi subito ribattezzato Florian dal nome del suo proprietario Floriano Francesconi. Frequentato dalla clientela più aristocratica, salí in breve tempo a tale rinomanza da essere segnalato e ricordato nelle guide turistiche più importanti dell’epoca. Altrettanto noto il caffè Quadri aperto però sul finire del ‘700 da Giorgio Quadri (venuto da Corfú) dove i veneziani gustarono , più che altrove, la semada, una bibita estiva a base di succo di semi di anguria, mandorle e zucchero, e, per la prima volta, il caffè fatto alla turca (Rorato).
Nel 1749 il commediografo Carlo Goldoni fa entrare il caffè nelle sue commedie ad iniziare dalla “La putta onorata” e vi abbina i “bussolai” che, secondo l’affamato Arlecchino, dovevano essere inzuppati proprio nel caffè. L’anno successivo il Goldoni scrive e rappresenta la famosa commedia “La bottega del caffé”. Si comprende quindi l’ importanza sociale che suddette botteghe rivestivano per la città senza però cambiare le vecchie tradizioni del popolo e dei patrizi, infatti i veneziani continuarono ugualmente a recarsi nei “magazeni” e nei “bastioni”, osterie di rango inferiore, ma anche nelle malvasie, nelle furatole e in tutti i locali dove si poteva gustare un buon bicchiere di vino.

Il platano: simbolo di vita e punto di riferimento nell’Impero Ottomano

Nell’area orientale, sotto l’impero musulmano, il caffè trovava collocazione al centro urbano della socializzazione, solitamente sotto un platano centenario. La presenza di un platano al centro della piazza, vicino a sorgenti o corsi d’acqua, era una consuetudine diffusa in tutto l’Impero Ottomano, radicata nella cultura e nella tradizione turca. Questi maestosi alberi non erano solo un elemento decorativo, ma ricoprivano un ruolo ben preciso nella vita sociale e culturale delle comunità.

Simbolo di vita e prosperità: Il platano, con la sua chioma ampia e le sue foglie larghe, era considerato un simbolo di vita, prosperità e abbondanza. La sua ombra generosa offriva riparo dal sole cocente, creando un luogo fresco e accogliente per riunioni, feste e attività quotidiane.

Punto di riferimento e ritrovo: La presenza del platano nella piazza lo rendeva un punto di riferimento facilmente riconoscibile, sia per i residenti che per i viaggiatori. Sotto le sue fronde si svolgevano mercati, si organizzavano incontri pubblici e si celebravano eventi festivi. Il platano diventava così il cuore pulsante della vita sociale del paese.

Oasi di ristoro e di commercio: I viaggiatori stanchi e assetati trovavano sotto il platano un luogo ideale per riposare, dissetarsi e ristorarsi. La sua ombra offriva un rifugio dal caldo e dalla polvere del viaggio, mentre la vicinanza all’acqua ne facilitava il rifornimento.

Intorno al platano si sviluppavano spesso attività commerciali, con bancarelle e negozi che vendevano prodotti di ogni genere. L’albero diventava così il centro nevralgico degli scambi economici del paese.

Un lascito culturale duraturo: Ancora oggi, in molte località dell’ex Impero Ottomano, si possono trovare platani secolari che testimoniano questa antica tradizione. Questi alberi, carichi di storia e di significato, continuano ad offrire la loro ombra generosa e a rappresentare un importante punto di riferimento per la comunità. La presenza del platano nella piazza rappresentava dunque un’espressione tangibile della cultura e dei valori dell’Impero Ottomano, simboleggiando l’importanza della vita sociale, del commercio e dell’ospitalità. L’eredità di questa tradizione continua a vivere nei platani che ancora oggi adornano le piazze di molte città e paesi, ricordandoci il profondo legame tra uomo e natura e l’importanza di creare spazi di incontro e di condivisione.

Oggi la Grecia è sinonimo di καφενείον, il caffé di ritrovo abitudinario dei locali sotto il platano al centro dell’urbe, paese piccolo o grande che sia, ma anche l’ombra di un tendone in riva al mare, in qualche taverna stagionale, residuo di ritrovo per i marinaio che tornando a terra da estenuanti viaggi via mare, desiderano ardentemente la frescura di bevande forti e cibi ricchi, rigeneranti, nell’ombra della calura.

Evangelos Alexandris Andruzzos – Fact Checker
👉 www.grecia.it 👈 FILO ITALOELLENICO
Formatore, sociologo, giornalista, editore.
Consulente organizzazione e comunicazione.
Coordinatore di progettazione europea internazionale.

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